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12 DICEMBRE 1969 - STRAGE
DI PIAZZA FONTANA
VERITA' NASCOSTE
di Carlo Anibaldi
(articolo pubblicato sul
Bollettino del Libero
Pensiero n°50)

Le celebrazioni delle
ricorrenze storiche portano
con sé il ricordo di quanti,
coinvolti nell’evento, hanno
perso la vita perché
l’evento si dispiegasse. La
Storia
procede con un susseguirsi
di immagini, non a caso il
più delle volte cruente, a
causa dei forti radicamenti
che si vanno a sconvolgere;
è dunque per l’aprirsi di
nuovi scenari che gli eventi
divengono Storia. Non è
questo il caso, poiché
questa non è Storia, ma una
Verità Nascosta.
Sono molti coloro che datano
l’inizio della cosiddetta
‘strategia della tensione’o
degli ‘opposti estremismi’
al 12 dicembre 1969, il
giorno dell’esplosione della
bomba alla BNA di Piazza
Fontana a Milano, ma
altrettanti sono convinti
che questa datazione sia
arbitraria ed emotiva,
facendo infatti risalire
l’inizio dei ‘Misteri
d’Italia’ a qualche anno
prima, quando ‘cadde’
l’aereo di Enrico Mattei, se
non addirittura al 1° Maggio
1947, giorno della strage di
Portella della Ginestra.
La difficoltà di datazione
di questo periodo oscuro
della Storia d’Italia è
probabilmente dovuta al
fatto che la storia stessa
della Repubblica è, fin dai
primi giorni di vita,
connessa alla storia dei
nostri servizi di
Intelligence che, come ogni
Servizio di questo genere,
non hanno, per definizione,
la trasparenza fra i valori
fondanti.
Molti sono gli autori,
giornalisti, osservatori e
storici, che hanno scritto
di questa orribile strage e
del lunghissimo iter
giudiziario che ne seguì.
Quello che vogliamo invece
fare qui oggi è rivolgere un
pensiero alle vittime
innocenti e ai loro
familiari e cercare di
vedere l’evento dal loro
punto di vista, per quanto
possibile. Le vittime di
eventi bellici o
rivoluzionari e perfino le
vittime di incidenti di ogni
tipo ed i loro familiari, si
fanno alla fine una ragione,
se così mi posso esprimere,
di quanto accaduto, secondo
una scala di consapevolezza
che va dal futile
all’eroico, passando per una
moltitudine di situazioni
intermedie
che alla fine sono quelle
sintetizzate negli epitaffi.
Ma cosa è umanamente
misericordioso e sensato
scrivere sulla lapide delle
vittime di quella odiosa
strage? E in quella delle
vittime di altre stragi di
quegli anni, che a centinaia
non hanno potuto avere
giustizia né comprensione
terrena? Se mai esistesse
un’altra forma di giustizia,
a quella varrebbe la pena di
affidarsi, ma temo non ci
sia nulla oltre la legge del
contrappasso, talvolta.
Questa è la vera pagina nera
di questa Repubblica: ci
sono dei morti, tanti morti,
che non sono né partigiani
né fascisti, né
rivoluzionari né
oppressori, né guardie né
ladri e al tempo stesso ci
sono degli assassini che non
sono finiti nella polvere,
né in galera né davvero
liberi, se mai hanno avuto
una coscienza.
Queste lapidi sono bianche e
immacolate, di marmo
vergine, o tali dovrebbero
essere, perché solo quando
le vittime avranno giustizia
ci sarà un epitaffio da
incidere.
Nel corso di vari processi
penali è alla fine affiorata
la dinamica scellerata
dell’attentato e qualche
manovale della morte e del
dolore ha vissuto i suoi
ultimi anni in prigione, ma
questi processi sono stati
utili, alla fine, per dare
non giustizia, ma
consapevolezza delle
dinamiche e, attraverso
queste, visione del disegno,
questo sì, eversivo della
volontà popolare.
Come tutti sappiamo, fu
all’inizio seguita, o
meglio, creata, una ‘pista
anarchica’ che vedeva la
cellula anarchica milanese
del Ponte della Ghisolfa,
rappresentata dal ferroviere
Giuseppe Pinelli, come
l’ideatrice ed esecutrice
dell’attentato alla BNA,
insieme a quello che avrebbe
dovuto dispiegarsi nelle
stesse ore alla Banca
Commerciale e che non
produsse un’esplosione ed
altri attentati dinamitardi
che in quel giorno, fra Roma
e Milano nell’arco di una
cinquantina di ore, si
verificarono.
Queste cellule anarchiche,
come ogni movimento di
questo tipo in Italia e nel
mondo, perseguono attentati
dinamitardi dimostrativi,
contro ogni potere
costituito che limiti le
libertà fondamentali
dell’individuo. Ideali di
violenza, senza meno assai
discutibili, ma che per
statuto fondante, mai
avevano avuto lo scopo di
spargere sangue ritenuto
innocente. Dunque l’accusa
fatta al Pinelli di aver
organizzato un attentato
tanto sanguinoso, col
concorso della cellula
romana, rappresentata da
Pietro Valpreda, sconvolse a
tal punto Giuseppe Pinelli,
che durante un drammatico
interrogatorio nei giorni
successivi alla strage, alla
Questura di Milano, cadde,
non si sa quanto
volontariamente o in seguito
a malore, dalla finestra e
ne morì.
La versione ufficiale della
Questura. La contestazione
alla versione ufficiale fu
talmente accesa da parte
degli ambienti dell’estrema
sinistra legati
all’organizzazione Lotta
Continua, che ne scaturì la
morte violenta del
commissario Calabresi,
ritenuto da questi il
responsabile della morte,
non creduta accidentale o
suicidaria, del Pinelli.
Nel corso di un ventennio di
udienze in diversi processi,
emersero circostanze
incredibili. L’attentato
doveva essere dimostrativo
come altri in quel periodo,
e fu organizzato dagli
anarchici per un orario
successivo alla chiusura
della banca, ma infiltrati
neofascisti
dell’organizzazione Ordine
Nuovo raddoppiarono la borsa
e dunque le bombe,
all’insaputa degli anarchici
e soprattutto ne
anticiparono lo scoppio in
un orario di apertura al
pubblico. Le carte
processuali ci dicono anche
di depistaggi, pedinamenti e
infiltrazioni organizzate da
fronde deviate dei servizi
di intelligence. La data del
12 dicembre fu scelta in
coincidenza con un viaggio
aMilano dell’anarchico
Valpreda. Un sosia del
Valpreda fu fatto scendere
da un taxi davanti alla
BNAcon una borsa.
Testimonianze incrociate
portarono all’arresto di
Valpreda e alla sua
incriminazione.
Ma questo era solo il primo
atto di una marcia di
avvicinamento alla verità
che durò un ventennio, senza
peraltro produrre certezze
processuali definitive sui
mandanti occulti e sui loro
inconfessati scopi eversivi.
In questo 40° anniversario
della strage, nel ricordare
le
diciassette vittime, il
nostro pensiero va a questo
modo di ‘diventare Storia’,
un modo che toglie anche la
dignità alla morte, che
dissolve persone incolpevoli
in una nuvola rovente e
densa di verità nascoste.
Questa nuvola è tutta
italiana e purtroppo arriva
da lontano, da quel
dopoguerra che da noi è
stato il più lungo del mondo
intero. Un dopoguerra che
per vili ragioni di
realpolitik non ha potuto
trovare pace, poiché non ha
del tutto escluso dalla vita
civile e dalle Istituzioni,
personaggi e burocrati del
disciolto partito fascista e
della Repubblica di Salò,
che per nulla avevano in
animo amore per questa nuova
Nazione, facendone anzi, in
varie e documentate
circostanze, i fondatori e
gli alti funzionari dei
neonati Servizi di
Intelligence. Queste furono
le scellerate premesse da
cui derivò un sessantennio
di Misteri d’Italia, che
passano impuniti per la
morte di Enrico Mattei,
Mauro De Mauro, Pierpaolo
Pasolini, Mino Pecorelli ed
altri e che oggi ci
costringono a commemorare
queste ed altre vittime
senza ‘parte’, senza
‘causa’, senza barricate,
senza ideale o bandiera, di
fronte alle quali altro non
possiamo fare che chinare il
capo per la vergogna.
Carlo Anibaldi
(Circa
l'impossibilità di essere un
Paese 'normale' vedi anche
Strage
del Rapido 904 o strage di
Natale)

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