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MARIJUANA
Le sue nuove meraviglie


Vince la nausea. Riduce il dolore. Dà sollievo nella sclerosi multipla. Ma non è tutto qui: dalla ricerca scientifica arrivano altre applicazioni. Non stupisce quindi che l'atteggiamento dei politici stia cambiando: la cannabis non sarà più una medicina proibita.
di GIANNA MILANO

Pochi argomenti sono così controversi quanto quello che riguarda la marijuana o cannabis usata come farmaco, per i suoi riconosciuti principi attivi, e non già come sostanza psicoattiva, ossia una droga. Sebbene il suo uso e il possesso siano illegali nella maggiore parte dei paesi, Italia compresa, sono ormai decine di migliaia le persone che in Europa, negli Stati Uniti, in Canada e in altre parti del mondo la usano in virtù delle sue qualità terapeutiche. Malati di aids, di sclerosi multipla, di cancro e di una varietà di malattie debilitanti cercano sollievo nella marijuana. "La si è demonizzata, spesso ignorando o distorcendo i dati scientifici raccolti solo a scopo di propaganda. Da decenni la ricerca esplora il possibile valore terapeutico delle numerose sostanze chimiche della cannabis e i risultati sono noti. Si sa in dettaglio come agisce e quali possono essere gli effetti nocivi nel lungo termine" scrive il neurofarmacologo inglese Leslie Iversen nel suo saggio The science of manjuana. "Come neuroscienziato" continua Iversen "che cerca di capire come la cannabis agisca sul cervello, sono esasperato dal modo in cui fautori e oppositori usano e abusano della scienza per difendere le loro posizioni, senza badare ai progressi fatti negli ultimi anni. Si è visto, per esempio, che l'organismo possiede un suo sistema endogeno cannabinoide, con recettori sia nei neuroni sia nelle cellule immunitarie. E' una scoperta importante quanto quella fatta negli anni 70 di sostanze naturali nel cervello simili alla morfina, le endorfine".

Insomma, la marijuana non è un demone, un mito, un simbolo trasgressivo, e neppure una panacea per ogni malanno. "Ma il suo profilo va chiarito così come si è fatto per altre sostanze euforizzanti e stimolanti: cocaina, alcol, amfetamine, nicotina" continua Iversen, che spera nel ruolo della ricerca. Soprattutto nella possibilità di sviluppare nuove tecnologie per somministrare in modo diverso i principi attivi della marijuana, eliminandone gli effetti psicotropici e conservandone quelli benefici.

La storia della coltivazione della pianta della marijuana, in latino cannabis, va indietro nel tempo. Le sue proprietà mediche ed euforizzanti erano note in Cina millenni fa. I nomadi la portarono in Asia orientale e India. La conoscevano assiri, egizi, arabi, greci e romani. Il nome viene forse dall'arabo "kinnab", Né greci né romani la usavano per le sue caratteristiche psicotropiche, anche se conosciute e già descritte da Galeno. I romani davano sollievo alle partorienti con i fumi della cannabis. La prima descrizione moderna delle sue proprietà terapeutiche è attribuita al medico irlandese W. S. O'Shaughnessy che sulla base delle sue esperienze in India ne fece conoscere le virtù alla comunità medica europea. "La prescriveva ai malati di rabbia, reumatismi, epilessia, tetano" ricorda il manuale Marijuana medical handbook, di Ed Rosenthal, Dale Giesinger e Tod Mikuriya.

Si racconta che la regina di Gran Bretagna Vittoria ricorresse alla cannabis per lenire i dolori mestruali e durante il suo regno l'erba veniva usata per curare diversi malanni, dagli spasmi muscolari reumatismi. Poi, nel 1900, l'interesse per la marijuana diminuì. Altre sostanze, tra cui l'oppio ricavato dal Papaver somniferum, entrarono in scena. Solo nel 1964 l'israeliano Raphael Mechoulam identificò il primo cannabinoide, il 9-delta-tetraidrocannabinolo (Thc), componente principale della cannabis. "I primi recettori cerebrali per gli oppioidi furono descritti negli anni 70, ma per quelli dei cannabinoidi si dovranno attendere altri vent'anni" scrive Mechoulam su Nature. La cannabis fu ritirata dalla farmacopea Usa nel 1941.

Ed è proprio dagli Usa che è partita una campagna di sensibilizzazione a favore della marijuana in medicina. Dopo il famoso appello nel 1995 su Jama di Lester Grinspoon, autore di diversi libri (Marijuana reconsidered e The forbidden medicine, entrambi tradotti in italiano), a favore di una rivisitazione della cannabis come medicina, nel '96 California e Arizona votarono a favore della depenalizzazione per chi la usa a scopo terapeutico. Oggi almeno altri otto stati americani hanno votato a favore di questo utilizzo. L'atteggiamento sta cambiando. Quest'anno il primo ministro britannico Tony Blair ha dato semaforo verde per la cannabis come farmaco. E test clinici sono stati autorizzati dai governo canadese che ha fatto anche una gara pubblica per la fornitura di cannabis per progetti di ricerca medica. Anche in Spagna e Germania l'aria è cambiata e si concede di usarla al malati che la richiedono. Segnali favorevoli si registrano anche in Svizzera. Non così in Francia dove l'Accademia della medicina ha dato parere contrario. "E tantomeno In Italia, dove si fatica a prescrivere gli oppioidi in commercio come farmaci per lenire il dolore. Il dibattito sulla cannabis a uso medico è molto teorico, anche perché i risultati finora non sono miracolosi" avverte Franco Toscani, responsabile scientifico dell'Istituto di ricerca in medicina palliativa Lino Maestroni.

Il battage degli ultimi tre anni a favore di questa medicina proibita è stato martellante. Nel '97 un rapporto della British medicai association, dai titolo significativo Therapeutic uses of cannabis, dopo aver passato in rassegna la letteratura scientifica concludeva che le sostanze psicoattive della marijuana hanno dimostrato di dare sollievo negli spasmi muscolari dei malati di sclerosi multipla. Prove di beneficio, anche se meno evidenti, erano segnalate per epilessia, glaucoma, asma, pressione alta, perdita di peso associata ad aids o cancro. Il primo uso rilevante della cannabis è stato come antinausea nella chemioterapia. Nel rapporto si metteva in guardia sui rischi del fumo di marijuana, che contiene tre volte più catrame del tabacco, ma si invitava il governo ad assumere un atteggiamento più compassionevole verso chi la utilizzava a scopo medico e a incentivare la ricerca.

Due anni dopo, un gruppo di scienziati dell'Istituto di medicina di Washington rese pubblico un rapporto preparato per conto della Casa Bianca. Anche in questo caso il verdetto era favorevole: gli ingredienti attivi della cannabis possono alleviare certe patologie e non esistono prove che questo faciliti il passaggio a droghe più pesanti. L'invito degli esperti era semmai di trovare alternative alla somministrazione degli ingredienti attivi della cannabis. In questo senso va la ricerca più avanzata.In una località segreta a sud della Gran Bretagna nel '97 è nata la Gw pharmaceuticals, industria che coltiva a scopo di ricerca 40 mila piante di marijuana. "Oltre a fornire materia prima per la ricerca, vogliamo trovare modi nuovi per somministrare i principi attivi della cannabis: spray orali, gocce, aerosol, vaporizzatori, cerotti" dice Geoffrey Guy, fondatore della Gw pharmaceuticals con un'esperienza decennale in farmacologia.

Oggi la neuroscienza sa molto di più su come agiscono i cannabinoidi, i derivati della marijuana, nel cervello. A partire dagli anni 80, da quando furono scoperti due recettori specifici del Thc, ossia il Cb1 presente nel sistema nervoso centrale e il Cb2 in quello immunitario, le prove del potere curativo della cannabls si sono moltiplicate. Due studi su animali, pubblicati quest'anno, attestano l'efficacia terapeutica dei derivati della marijuana nella sclerosi multipla e nei gliomi cerebrali, tumori maligni. Nel primo lavoro su Nature l'inglese David Barker, usando un modello animale di sclerosi multipla, ha somministrato ai topi un derivato della marijuana che stimola i recettori endogeni per questa sostanza: il Cb1 e il Cb2. "C'è stato un netto miglioramento: erano scomparsi tremore e spasticità. Come controprova abbiamo somministrato ai topi degli antagonisti di questi recettori e i sintomi sono peggiorati" spiega Barker.

Ciò dimostrerebbe che il sistema cannabinoide endogeno avrebbe un ruolo tonico attivo nel controllo di tremori e spasticità. L'altro studio, pubblicato su Nature medicine, apre invece una strada terapeutica nuova per i tumori maligni gliali, rari ma aggressivi. Come spiega Ismael Galve-Roperth, biochimico spagnolo. "Abbiamo riprodotto il glioma nei topi iniettando cellule neoplastiche. A questo punto abbiamo inoculato agonisti dei cannabinoidi, cioè sostanze che agiscono nel loro stesso modo, direttamente nel tessuto tumorale. Il risultato?
Il glioma è scomparso. Ciò ha permesso di eradicarlo in un terzo dei topi e di prolungare la sopravvivenza in un altro terzo".

La spiegazione? Secondo i ricercatori dell'università di Madrid, per effetto dei cannabinoidi le cellule tumorali attivano il processo di morte programmata, l'apoptosi. Potrebbero essere i recettori Cb1 e Cb2 a innescare indipendentemente l'uno dall'altro questo processo. Ma la prova per ora è stata condotta solo su cellule in vitro e non in vivo. Un'altra ricerca, pubblicata sui Proceedings of the National academy of sciences, dimostra come il cannabidiolo, componente non psicoattivo della marijuana, riduce infiammazione e dolori, sopprimendo la risposta immunitaria, in topi in cui è stata indotta una forma di artrite reumatoide.

Insomma, la marijuana come strumento terapeutico sembra in ascesa. E molte delle sue possibilità sono ancora inesplorate. L'elenco delle sue "virtù" è destinato ad allungarsi: la si sta sperimentando per Parkinson, Alzheimer, sindrome di Tourette, corea di Huntington. E prove cliniche indicano che un analogo sintetico del Thc (non psicoattivo) funziona come analgesico e antiinfiammatorio, senza effetti collaterali. Per rendere lo scrutinio scientifico ancora più meticoloso, la prestigiosa università di California ha annunciato due settimane fa che intende aprire e finanziare un centro per la ricerca medica sulla cannabis. Nell'iniziativa sono coinvolte le università di San Francisco e San Diego. I progetti saranno vagliati da esperti e approvati dal National institute on drug abuse, che fornirà la cannabis per la sperimentazione. I test clinici partiranno dai gennaio 2001 e secondo Igor Grant, codirettore del centro, forniranno nuove e più definite prove sui possibili benefici sia della marijuana fumata sia dei derivati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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