Desaparecidos: la Chiesa in Argentina aiutò i carnefici
Una vera e propria valanga di dichiarazioni è uscita dalla bocca dell’ex dittatore Jorge Videla durante gli ultimi interrogatori. Le informazioni ricavate hanno messo fine ad un lungo dibattito sui modelli di transizione dal regime alla democrazia in Argentina, durante l’ultimo periodo della dittatura militare. In molti nello Stato del Sud America criticavano la riapertura dei processi per crimini contro l’umanità, sostenendo che l’obiettivo di giungere ad una condanna penale rischiava di ostacolare il raggiungimento della verità. Gli stessi esaltavano, invece, il modello sudafricano consistente nell’ottenere informazioni in cambio dell’impunità. Ciononostante, in Argentina, sono già state pronunciate oltre 250 sentenze di condanna al termine di processi che hanno garantito tutti i diritti alla difesa, tanto che vi sono state anche due dozzine di sentenze di assoluzione. Il flusso di informazioni, però, non solo non si è arrestato, ma è addirittura aumentato, portando a galla molte testimonianze e verità storiche.
Le successive
confessioni del
condannato
Videla a diversi
giornalisti che
lo hanno
intervistato in
carcere hanno
fatto luce sulla
complicità con
il regime
dei
grandi
imprenditori,
dei principali
partiti politici
e perfino della
Chiesa
Cattolica.
Nell’ultima
intervista, l’ex
dittatore ha
sostenuto che il
nunzio
apostolico Pio
Laghi, l’ex
presidente della
Conferenza
Episcopale Raul
Primatesta e
altri vescovi,
hanno fornito al
suo governo
consigli su come
gestire la
situazione dei
detenuti
“desaparecidos”.
Secondo quanto
rivelato da
Videla, la
Chiesa si spinse
addirittura ad
“offrire i suoi
buoni uffici”
affinché il
governo
informasse della
morte dei figli
tutte le
famiglie che si
fossero
impegnate a non
rendere pubblica
la notizia e
smettere di
protestare.
Questo dimostra
che la Chiesa
non solo era a
conoscenza dei
crimini della
dittatura
militare, ma ne
era addirittura
complice; come
risulta dai
documenti
segreti
pubblicati in
libri e articoli
e la cui
autenticità
l’Episcopato è
stato costretto
a riconoscere
dinanzi alla
giustizia.
La prova di
un
coinvolgimento
attivo
dell’Episcopato
per garantire il
silenzio dei
familiari delle
vittime sembra
ormai accertato.
Lo stesso
silenzio che la
Chiesa aveva
adottato sul
caso
desaparecidos.
Videla ha
dichiarato che,
dal regime, non
vennero fornite
informazioni sui
desaparecidos
affinché nessuna
madre si
chiedesse “dove
è sepolto mio
figlio per
portargli un
fiore? Chi l’ha
ucciso? Perché?
Come l’hanno
ucciso? A
nessuna di
queste domande
fu data
risposta”. Il
ragionamento fu
lo stesso che
Videla fece il
10 aprile 1978,
nel corso di un
cordiale pranzo
alla presenza
della
commissione
esecutiva
dell’Episcopato.
Secondo la nota
informativa
inviata dai
vescovi al
Vaticano, Videla
aveva detto loro
che «sarebbe
ovvio» affermare
che nessuno è
desaparecido,
che «sono
morti», ma che
una tale
affermazione
avrebbe
«alimentato una
serie di domande
sul luogo della
sepoltura. Era
forse
una fossa
comune? E in tal
caso: chi li ha
messi in questa
fossa? Insomma,
una serie di
domande alle
quali il governo
non poteva
rispondere
sinceramente per
le conseguenze a
carico di alcune
persone», vale a
dire per
proteggere i
sequestratori e
gli assassini.
«Il primo
ufficiale che ha
confessato la
partecipazione
personale al
massacro, il
capitano della
Marina Adolfo
Scilingo, mi
raccontò che
quando il
comandante delle
Operazioni
Navali lo aveva
informato che i
prigionieri
sarebbero stati
gettati in mare
dagli aerei, gli
aveva anche
detto che si
erano consultati
con le autorità
ecclesiastiche
per trovare la
soluzione più
cristiana e meno
violenta. Quando
tornò turbato
dal primo volo e
si rivolse al
cappellano della
sua unità
militare, il
sacerdote lo
tranquillizzò
raccontandogli
alcune parabole
bibliche. Disse
che era una
morte cristiana
perché
non avevano
sofferto»,
dichiara il
giornalista
Jacobo Timerman.
Nel corso del primo processo contro esponenti della giunta militare, lo stesso Timerman raccontò che quando aveva chiesto per quale ragione non avevano applicato apertamente la pena di morte, uno degli ufficiali più alti in grado della Marina gli aveva risposto: «In questo caso sarebbe intervenuto il Papa e sarebbe stato difficile fucilare i detenuti se il Pontefice avesse fatto pressione». Il generale Ramon Diaz Bessone diede la medesima spiegazione alla giornalista francese Marie-Monique Robin: «Pensate alle pesanti critiche rivolte dal Papa a Franco nel 1975 per la fucilazione di appena tre persone. A noi ci sarebbe saltato addosso tutto il mondo. Non sarebbe stato possibile fucilare 7000 persone». Questo spiega perché, fino ad oggi, la Chiesa non ha scomunicato Videla e nessuno degli altri condannati, tra i quali il sacerdote cattolico Christian Von Wernich.
(Luca Michetti, “Argentina, l’ex dittatore Videla confessa: la Chiesa aiutò il regime con i desaparecidos”, dal newsmagazine “You-ng” del 3 agosto 2012, ripreso da “Megachip”).
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