Il
presidente del Tribunale di Civitavecchia trasferito. La
sua conferma – che nel 90 per cento dei casi è
automatica – negata. Mentre gli ispettori del ministero
della Giustizia arrivano nella cittadina laziale. Ma
lui, il presidente non ci sta, e presenta un ricorso al
Tar. Respinto. La parola allora passa al Consiglio di
Stato che oggi dirà l’ultima parola sulla carriera di Mario
Almerighi.
STA ACCADENDO tutto nel silenzio. Almerighi, però, non è
uno di quei magistrati i cui nomi compaiono nei
fascicoli P3 o P4. No. Anzi, vanta un curriculum di
tutto rispetto: era, tanto per dire, uno dei Pretori
d’assalto che negli anni Settanta tra i primi si
occuparono della corruzione nello scandalo dei Petroli. E
invece eccolo, oggi, ad attendere l’appello del
Consiglio di Stato contro la decisione del Csm. Ma che
cosa ha fatto Almerighi per “meritarsi” un provvedimento
così duro e piuttosto
anomalo? Difficile saperlo. Qualcuno aveva
maliziosamente suggerito che lo stop del Csm fosse stato
dettato da “incompatibilità ambientale”, perché sembra
che nel Tribunale di Civitavecchia tiri proprio una
brutta aria, soprattutto nel delicatissimo settore delle
esecuzioni immobiliari dove girano tanti soldi. Un
ufficio che Almerighi ha messo sottosopra. Ma la voce è
stata smentita ufficialmente: “Ci siamo
limitati a non confermarlo nel suo ruolo di dirigente
dal momento che non ne ricorrevano i presupposti di
legge, indipendentemente da vicende relative all’ufficio
esecuzioni di quel tribunale e quindi non per
incompatibilità ambientale”, dichiarano da piazza
Indipendenza. Pare che gli addebiti siano anche formali.
Sarebbe stato imputato al presidente di non aver
comunicato via mail
(ma solo via fax) i provvedimenti organizzativi
dell’ufficio.
Nei corridoi del Tribunale di Civitavecchia – ma gli
echi si sentono fino a Roma – c’è chi, però, ricorda
altri capitoli scomodi del passato professionale di
Almerighi. Come quando si occupò di uno dei gialli più
oscuri degli ultimi anni: la morte di Samuele
Donatoni, agente
dei Nocs morto durante uno scontro a fuoco tra forze
dell’ordine e sequestratori diGiuseppe
Soffiantini. Ucciso
dai rapitori, così si chiuse subito il caso. Ma proprio
Almerighi lo riaprì, fino ad arrivare a esiti
sorprendenti: “Ci sono due sentenze definitive che
raccontano verità opposte”, ha raccontato Almerighi. Per
la morte di Donatoni, tra i rapitori di Soffiantini c’è
chi è stato condannato all’ergastolo e chi è stato
assolto. Ma dall'ultimo processo emergono dettagli
inediti: prove perdute e altre comparse dopo mesi,
pistole sparite, prove che il cadavere è stato spostato.
Soprattutto una perizia con una nuova pista, poi
ignorata: a sparare sarebbe stata una calibro 9
parabellum, come quella degli stessi Nocs. Una storia
che Almerighi sente profondamente e racconta in un
libro: Mistero di Stato.
DI SICURO, come ha ricordato il sito di informazione
Civonline, inchieste che non hanno procurato amici ad
Almerighi. Ma anche a Civitavecchia il suo passaggio ha
portato un mezzo terremoto. Niente a che fare con le
pagine ancora oscure della storia della Repubblica,
eppure una storia molto italiana. Tutto nasce da quattro
denunce presentate proprio ad Almerighi.Un gruppo di
avvocati punta il dito sul ricco business delle
esecuzioni immobiliari nel Tribunale: secondo il
racconto degli avvocati, gli incarichi di custodi o
delegati sarebbero stati affidati sempre a pochissimi
professionisti, sempre gli stessi, senza rispettare la
turnazione prevista. Almerighi prova a mettere ordine,
prende provvedimenti. E si crea nemici. Una cosa è
certa: dopo quasi quarant’anni da magistrato, Almerighi
attende la decisione del Consiglio di Stato che deciderà
il suo ricorso (bocciato, appunto, in primo grado dal
Tar) contro il provvedimento del Csm. Che è l’organo di
autogoverno della categoria in cui ha prestato servizio
per tutta la vita: Almerighi vuole portare fino in fondo
il suo lavoro a Civitavecchia.
Ferruccio Sansa (Il Fatto Quotidiano, 6 novembre
2012)
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