Al momento
di iscrivere i bambini a scuola
vi è stato sicuramente chiesto
il certificato di vaccinazione.
In Italia, infatti, come tutti
ben sappiamo, alcuni vaccini
sono
obbligatori per i bambini. Il
dibattito sull’opportunità della
vaccinazione obbligatoria è
vasto e sempre più di attualità:
alcuni genitori non vogliono
vaccinare i loro figli, per
convinzioni personali
sull’efficacia e sugli effetti
collaterali dei vaccini ed, a
volte, anche per motivi
religiosi. E’ possibile non
vaccinare i bambini?

I
vaccini obbligatori sono quelli
contro: poliomielite, tetano,
difterite ed epatite B.
In alcuni Paesi europei (Regno
Unito, Svezia) l’obbligatorietà
non c’è più, in altri è
possibile un’esplicita obiezione
da parte di chi ha la potestà
genitoriale. Ciò non toglie che
i pediatri continuino a
consigliarli e le famiglie
continuino a vaccinare i loro
bambini, infatti nessuna
maggiore incidenza di malattie
sembrerebbe essersi verificata
in seguito alla caduta
dell’obbligo.
E da noi? Da noi tutto è
possibile, solo che, come
sempre, è un po’ più complicato
e muove più burocrazia!
Inizialmente l’obbligo era
sanzionato da una norma penale:
non vaccinare i figli era reato.
Successivamente la mancata
vaccinazione è stata
depenalizzata (legge n.
689/1981) ed è punibile con una
sanzione amministrativa.
Teoricamente il Tribunale per i
minorenni potrebbe ordinare la
vaccinazione coatta del bambino,
operando una sorta di
sospensione della potestà
genitoriale per il periodo
occorrente all’operazione. Nella
realtà questa decisione è
rarissima: i Tribunali chiedono
solo che le autorità
territoriali segnalino i casi di
mancata vaccinazione legati a
degrado familiare.
Certo, nella pratica il rifiuto
può comportare altre
complicazioni, per esempio
proprio nel momento
dell’iscrizione a scuola, dato
che il certificato di
vaccinazione è indicato come un
allegato necessario alla domanda
di iscrizione.
C’è però un percorso alternativo
possibile. La legge n. 833 del
1978, che ha introdotto la
riforma sanitaria istituendo le
USL (ora ASL), stabilisce
all’articolo 13 che il sindaco è
la massima autorità
sanitaria locale. Il
successivo art. 33 stabilisce
che i trattamenti sanitari
obbligatori (come appunto le
vaccinazioni dei bambini) devono
essere accompagnati da
iniziative rivolte ad assicurare
il consenso e la partecipazione
di chi vi è obbligato e chiunque
“può rivolgere al sindaco
richiesta di revoca o di
modifica del provvedimento con
il quale è stato disposto il
trattamento sanitario
obbligatorio”. Su tale
richiesta il sindaco deve
decidere entro dieci giorni e
può concedere l’esonero, se
motivato.
In pratica, dunque, i genitori
possono chiedere l’esonero dalla
vaccinazione dei figli,
motivandolo (le convinzioni
etiche e religiose sono
considerate motivi validi). E’
una strada praticata l’esonero
viene spesso concesso: è
frequente che i sindaci (o chi
per loro, a seconda della
dimensione del Comune)vogliano
solo accertarsi che sia una
scelta consapevole e non una
trascuratezza dei genitori.
Ma c’è di più: alcune Regioni
italiane hanno promulgato leggi
regionali che sostanzialmente
aboliscono l’obbligo di
vaccinazione. E’ avvenuto sul
presupposto della modifica del
titolo V della Costituzione, per
cui l’attività di pianificazione
e programmazione degli
interventi in materia di tutela
della salute è attribuita alla
competenza delle Regioni e
Province Autonome. E così in
Piemonte, Lombardia, Liguria e
Veneto non è più necessario
dimostrare di aver ottenuto
l’esonero.
In queste Regioni vi è più
informazione sulle vaccinazioni
infantili: più campagne, più
materiali a disposizione dei
cittadini, più attenzione ad
informare e rendere consapevoli.
Per questo, non si è verificata
alcuna diminuzione dei vaccinati
di un qualche rilievo
statistico.
L’obbligo quindi, è stato utile
in passato, ma oggi sembra
anacronistico ed addirittura si
dimostra più efficace abolirlo
in cambio di informazione.
Purtroppo però l’Italia va
sempre a due velocità: alcuni
cittadini potranno semplicemente
esimersi dal vaccinare i figli,
altri dovranno destreggiarsi con
adempimenti burocratici la cui
difficoltà è rimessa alle
singole autorità comunali.
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Carlo Anibaldi