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Articolo suggerito da Piera Carta


Halloween In Sardegna

Articolo di Maria Lucia Meloni pubblicato su Sardinia Network

Ottobre 2010


Iniziamo con un excursus storico-culturale che ci vedrà partire dalla festa di Halloween per arrivare ad una antica tradizione della Sardegna, ossia quella de “is animeddas”e di “su mortu mortu”. Il 31 ottobre è la festa di Halloween che tutti conosciamo: successo commerciale incontestabile. Ci si traveste e ci si trucca, si decora la casa, feste, giochi, i bimbi che chiedono caramelle. Vediamo le origini di questa festa e le affinità con la festa Cattolica del 1° novembre per poi arrivare a curiosità e osservazioni che ci porteranno a usi molto antichi della nostra isola. La Festa religiosa di Ognissanti in realtà non ha nessuna attinenza con Halloween , come magari in apparenza potrebbe apparire, in quanto Ognissanti ha avuto origine nella Chiesa Cattolica nel 840 D.C. circa, indetta da Papa Gregorio IV. Inizialmente si celebrava nel mese di maggio poi la data fu spostata al 1° novembre da Odilio de Cluny nel 1048, con l’intento proprio di sovrapporsi e contrastare l’antico culto dei druidi celtici.


        

 

Infatti le origini di Halloween risalgono ai Celti, antico popolo che abitò Francia e Inghilterra circa 2000 anni fa. I Celti credevano che il 31 ottobre, per loro giorno della vigilia del nuovo anno, gli spiriti malvagi dei defunti tornassero in vita per seminare il panico e la paura tra gli esseri viventi. I festeggiamenti avevano lo scopo di calmare gli spiriti.

Il nome deriva dall’inglese: il 1° novembre, giorno di Tutti i Santi, in inglese viene detto All Saint’s Day, la vigilia la notte del 31 ottobre All Halloweed Eve, ossia Vigilia di Tutti i Santi , che poi è stato abbreviato in Halloween. La storia della zucca, simbolo incontrastato di Halloween è questa. Deriva da una leggenda che narra dell’incontro tra un uomo e il diavolo.

Sting Jack era un beone che viveva in Irlanda, giocava, aveva molti dediti e fece un patto con il diavolo: gli vendette l’anima per pagare i suoi debiti. Si incontrarono durante la notte del 31 ottobre e Jack offrì da bere al diavolo, egli accettò ponendo una condizione, ossia che pagasse Jack. L’uomo astuto mise allora in dubbio che il diavolo si potesse trasformare in qualsiasi cosa volesse, gli chiese con scherno di trasformarsi in una moneta e quando il diavolo lo fece, Jack prese la moneta, se la mise in tasca vicino a una croce d’argento impedendo così al diavolo di riprendere le sue forme.

Il diavolo allora propose un accordo all’uomo: se lo avesse liberato avrebbe lasciato in pace Jack per un anno. Jack accettò pensando di riuscire a diventare una brava persona, di smettere di bere, di accudire la famiglia, in modo che il diavolo non potesse cercar più nulla da lui.
Così non fu, Jack non riuscì a cambiare la propria vita, e l’anno successivo, sempre la notte del 31 ottobre il diavolo tornò a prendersi Jack. Anche questa volta l’astuto uomo riuscì ad ingannare il demonio, ma l’anno successivo morì. Gli fu negato l’accesso al Paradiso, ma anche all’Inferno, il diavolo infuriato per essere stato ingannato lo rispedì sulla terra a peregrinare come un’anima in pena. Mentre l’uomo vagava tra le tenebre raccolse una rapa per cibarsene, ma il diavolo gli lanciò un pezzo di carbone ardente dall’Inferno, che Jack, disperato prese per illuminare il suo incessante cammino tra le paludi alla ricerca di una pace che non trovò mai.
Più tardi la rapa fu sostituita nella tradizione popolare da una zucca e da qui nacque la leggenda di Jack-O-Lantern.

A causa della leggenda, delle sue origini e del fatto che secondo le antiche “leggi della stregoneria “ il 31 ottobre è un giorno strettamente connesso con la magia e il satanismo, questa giornata è stata enfatizzata: la paura, la morte, gli spiriti, la stregoneria, la violenza, i demoni, tutto contribuisce a rendere questa data attraente per tanti.

Qui in Italia da qualche anno si è fatta nostra una festa che in realtà non appartiene alla nostra cultura, se ne parla nella scuole, si ritagliano zucche di feltro, si travestono i bambini.
Magari nei Paesi anglosassoni la si celebra, ma fa parte della loro storia e della loro leggenda, non della nostra.
Da noi vi è soprattutto l’aspetto commerciale del carrozzone che si mette in moto per vendere dolci, vestiti e decorazioni, in quanto sono ben poche le persone che sanno che cosa sia la festa di Halloween…il culto della morte nella sua essenza originale, ma in realtà solo una mascherata dei bambini che girano per le case a chiedere dolci, di adulti che si travestono e festeggiano senza sapere che cosa.

Arriviamo ora a “is animeddas” e a “su mortu mortu”. In Sardegna infatti esiste e si è conservata una tradizione che ha molti aspetti in comune con quella anglosassone.

Si tratta appunto di “is animeddas” denominazione corrente nel sud dell’isola, e di “su mortu mortu” tipico delle zone del nuorese. Il nome cambia a seconda della zona dell’isola ma tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre anche nei paesi della Sardegna la tradizione era del tutto simile.

Nel Campidano e nel sud dell’isola i bambini vestiti da fantasmi andavano a chiedere, di porta in porta, qualche dono per le “piccole anime”, da cui il nome “is animeddas”. Anticamente ai bambini venivano donati dolci preparati in casa come le pabassinas, su pani de saba, e soprattutto un dolce che merita attenzione anche per il nome che lo caratterizza, ossu de mottu (osso di morto), a cui venivano aggiunti poi altri doni come le melagrane, le castagne e la frutta secca.

Al centro della Sardegna era più diffusa la tradizione de “su mortu mortu”. I bambini suonano i campanelli delle case dicendo di essere “su mortu mortu” e ad essi vengono regalate castagne, dolci di miele ed uva passa, soldini.

In altre zone della Sardegna, soprattutto nel Sarrabus Gerrei ai bambini venivano date delle piccole forme di pane somiglianti a delle coroncine.

Un altro elemento simile tra la festa sarda e quella anglosassone era in passato il lavoro che veniva effettuato sulle zucche: esse si intagliavano e si preparavano rendendole simili a facce con un’espressione terribile e brutta, e venivano utilizzate per fare scherzi e far spaventare i più piccoli.

Ancora oggi in alcune zone della Sardegna sopravvive questa tradizione tipica dell’isola, magari invece che pane o dolci genuini vengono date ai bambini delle caramelle o cioccolato, ma rimane vivo il ricordo antico delle “animeddas” o dei “mortu mortu”. Probabile che la maggior parte dei sardi non conosca queste tradizioni, che travesta i propri figli per Halloween, che organizzi feste dove trasgressione, esagerazione, culto del terrore e del macabro la fanno da padrone. Portare alla ribalta invece la nostra arcaica tradizione delle “animeddas” o dei “mortu mortu”, sarebbe un arricchimento della memoria storica e un riappropriarsi di antiche tradizioni e aspetti culturali della nostra terra.

 

Maria Lucia Meloni


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