Iniziamo con un excursus
storico-culturale che ci vedrà partire dalla festa di Halloween
per arrivare ad una antica tradizione della Sardegna, ossia
quella de “is animeddas”e di “su mortu mortu”. Il 31 ottobre è
la festa di Halloween che tutti conosciamo: successo commerciale
incontestabile. Ci si traveste e ci si trucca, si decora la
casa, feste, giochi, i bimbi che chiedono caramelle. Vediamo le
origini di questa festa e le affinità con la festa Cattolica del
1° novembre per poi arrivare a curiosità e osservazioni che ci
porteranno a usi molto antichi della nostra isola. La Festa
religiosa di Ognissanti in realtà non ha nessuna attinenza con
Halloween , come magari in apparenza potrebbe apparire, in
quanto Ognissanti ha avuto origine nella Chiesa Cattolica nel
840 D.C. circa, indetta da Papa Gregorio IV. Inizialmente si
celebrava nel mese di maggio poi la data fu spostata al 1°
novembre da Odilio de Cluny nel 1048, con l’intento proprio di
sovrapporsi e contrastare l’antico culto dei druidi celtici.
Infatti le origini di Halloween
risalgono ai Celti, antico popolo che abitò Francia e
Inghilterra circa 2000 anni fa. I Celti credevano che il 31
ottobre, per loro giorno della vigilia del nuovo anno, gli
spiriti malvagi dei defunti tornassero in vita per seminare il
panico e la paura tra gli esseri viventi. I festeggiamenti
avevano lo scopo di calmare gli spiriti.
Il nome deriva dall’inglese: il 1°
novembre, giorno di Tutti i Santi, in inglese viene detto All
Saint’s Day, la vigilia la notte del 31 ottobre All Halloweed
Eve, ossia Vigilia di Tutti i Santi , che poi è stato abbreviato
in Halloween. La storia della zucca, simbolo incontrastato di
Halloween è questa. Deriva da una leggenda che narra
dell’incontro tra un uomo e il diavolo.
Sting Jack era un beone che viveva in
Irlanda, giocava, aveva molti dediti e fece un patto con il
diavolo: gli vendette l’anima per pagare i suoi debiti. Si
incontrarono durante la notte del 31 ottobre e Jack offrì da
bere al diavolo, egli accettò ponendo una condizione, ossia che
pagasse Jack. L’uomo astuto mise allora in dubbio che il diavolo
si potesse trasformare in qualsiasi cosa volesse, gli chiese con
scherno di trasformarsi in una moneta e quando il diavolo lo
fece, Jack prese la moneta, se la mise in tasca vicino a una
croce d’argento impedendo così al diavolo di riprendere le sue
forme.
Il diavolo allora propose un accordo
all’uomo: se lo avesse liberato avrebbe lasciato in pace Jack
per un anno. Jack accettò pensando di riuscire a diventare una
brava persona, di smettere di bere, di accudire la famiglia, in
modo che il diavolo non potesse cercar più nulla da lui.
Così non fu, Jack non riuscì a cambiare la propria vita, e
l’anno successivo, sempre la notte del 31 ottobre il diavolo
tornò a prendersi Jack. Anche questa volta l’astuto uomo riuscì
ad ingannare il demonio, ma l’anno successivo morì. Gli fu
negato l’accesso al Paradiso, ma anche all’Inferno, il diavolo
infuriato per essere stato ingannato lo rispedì sulla terra a
peregrinare come un’anima in pena. Mentre l’uomo vagava tra le
tenebre raccolse una rapa per cibarsene, ma il diavolo gli
lanciò un pezzo di carbone ardente dall’Inferno, che Jack,
disperato prese per illuminare il suo incessante cammino tra le
paludi alla ricerca di una pace che non trovò mai.
Più tardi la rapa fu sostituita nella tradizione popolare da una
zucca e da qui nacque la leggenda di Jack-O-Lantern.
A causa della leggenda, delle sue
origini e del fatto che secondo le antiche “leggi della
stregoneria “ il 31 ottobre è un giorno strettamente connesso
con la magia e il satanismo, questa giornata è stata
enfatizzata: la paura, la morte, gli spiriti, la stregoneria, la
violenza, i demoni, tutto contribuisce a rendere questa data
attraente per tanti.
Qui in Italia da qualche anno si è
fatta nostra una festa che in realtà non appartiene alla nostra
cultura, se ne parla nella scuole, si ritagliano zucche di
feltro, si travestono i bambini.
Magari nei Paesi anglosassoni la si celebra, ma fa parte della
loro storia e della loro leggenda, non della nostra.
Da noi vi è soprattutto l’aspetto commerciale del carrozzone che
si mette in moto per vendere dolci, vestiti e decorazioni, in
quanto sono ben poche le persone che sanno che cosa sia la festa
di Halloween…il culto della morte nella sua essenza originale,
ma in realtà solo una mascherata dei bambini che girano per le
case a chiedere dolci, di adulti che si travestono e festeggiano
senza sapere che cosa.
Arriviamo ora a “is animeddas” e a “su
mortu mortu”. In Sardegna infatti esiste e si è conservata una
tradizione che ha molti aspetti in comune con quella
anglosassone.
Si tratta appunto di “is animeddas”
denominazione corrente nel sud dell’isola, e di “su mortu mortu”
tipico delle zone del nuorese. Il nome cambia a seconda della
zona dell’isola ma tra la fine di ottobre e i
primi giorni di novembre anche nei paesi della
Sardegna la tradizione era del tutto simile.
Nel Campidano e nel sud dell’isola i
bambini vestiti da fantasmi andavano a chiedere, di porta in
porta, qualche dono per le “piccole anime”, da cui il nome “is
animeddas”. Anticamente ai bambini venivano donati dolci
preparati in casa come le pabassinas, su pani de saba, e
soprattutto un dolce che merita attenzione anche per il nome che
lo caratterizza, ossu de mottu (osso di morto), a cui venivano
aggiunti poi altri doni come le melagrane, le castagne e la
frutta secca.
Al centro della Sardegna era più
diffusa la tradizione de “su mortu mortu”. I bambini suonano i
campanelli delle case dicendo di essere “su mortu mortu” e ad
essi vengono regalate castagne, dolci di miele ed uva passa,
soldini.
In altre zone della Sardegna,
soprattutto nel Sarrabus Gerrei ai bambini venivano date delle
piccole forme di pane somiglianti a delle coroncine.
Un altro elemento simile tra la festa
sarda e quella anglosassone era in passato il lavoro che veniva
effettuato sulle zucche: esse si intagliavano e si preparavano
rendendole simili a facce con un’espressione terribile e brutta,
e venivano utilizzate per fare scherzi e far spaventare i più
piccoli.
Ancora oggi in alcune zone della
Sardegna sopravvive questa tradizione tipica dell’isola, magari
invece che pane o dolci genuini vengono date ai bambini delle
caramelle o cioccolato, ma rimane vivo il ricordo antico delle “animeddas”
o dei “mortu mortu”.
Probabile che la maggior parte dei sardi non conosca
queste tradizioni, che travesta i propri figli per Halloween,
che organizzi feste dove trasgressione, esagerazione, culto del
terrore e del macabro la fanno da padrone. Portare alla ribalta
invece la nostra arcaica tradizione delle “animeddas” o dei “mortu
mortu”, sarebbe un arricchimento della memoria storica e un
riappropriarsi di antiche tradizioni e aspetti culturali della
nostra terra.
Maria Lucia Meloni
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