Sciacquarsi
la bocca con la bellezza
di Luisa Martini
- Megachip.
Rientro or ora dal comizio di Matteo Renzi
a Torino. Ero curiosa di farmi un’idea di persona. Ora sono
definitivamente disgustata e vi scrivo il perché.
Intanto, per inquadrare, la scena: siamo al
Palaisozaki (novemila posti). Nonostante il ritardo di prammatica, resta
in larga parte vuoto: a occhio e croce un terzo del parterre e un quinto
circa delle tribune. Le teste presenti sono in grandissima maggioranza
bianche e grigie. Gli unici giovani sono quelli dello staff di
accoglienza e animazione, che offrono cioccolato e palloncini al
pubblico, alzando sulle teste grandi lettere colorate: «We have a dream
- Matteo Renzi». Sembra la brutta copia di una convention americana, con
mezzi più modesti ma forse neanche tanto, visto che affittare il
Palaisozaki e fare una tournée per l’Italia non costa poco di sicuro.
Lui scherza: «Chiedo scusa, sono arrivato in ritardo perché avevo un
aereo dalle Cayman...»

Sale sul palco Oscar Farinetti, che apre
le danze dicendo chiaro che appoggia Renzi e spiegando il perché. Parla
di giovani, di imprenditori, della semplicità (burocratica), della
bellezza di cambiare idea. Ma il perché più profondo del suo appoggio è
facile da capire anche senza tante parole non appena si guarda ai suoi
interessi: Farinetti è, tra le altre cose, il fondatore di Eataly,
catena di distribuzione alimentare di eccellenza che conta attualmente 9
filiali in Italia, 9 in Giappone e 1 negli USA, in espansione; è
collegato al filone dello Slow Food di Carlin Petrini, che è un
marchio della piattaforma Coop, che a sua volta è uno dei
maggiori finanziatori del PD. Un giro d’affari mica da poco, con
la tradizionale benedizione del PD. Non ci sarebbe dunque nemmeno
bisogno di scomodare - come invece Farinetti fa - la buonanima del papà
partigiano. Ma pazienza.
Entra dunque Renzi, in maniche di camicia.
L'autore di “Stil novo. La rivoluzione della bellezza tra Dante e
Twitter” non si smentisce, e subito parte con gli slogan:
partecipiamo adesso, torniamo a credere nella politica, noi siamo per
tutela del territorio e la difesa del paesaggio, Peppone e Don Camillo
nel cuore per guardare oltre, voltare pagina dai leader della sinistra
che si sono fatti da parte. «Noi però non siamo quella sinistra,
vogliamo prendere i voti anche degli altri. Invito a leggere le proposte
per le piccole e medie imprese».
E poi? Gli evasori vanno beccati, bisogna
incrociare le banche dati invece di inseguire gli scontrini: però
chi opera legalmente nei paradisi fiscali dev’essere lasciato in pace,
perché è legale e da quello dipendono le sorti del nostro debito
pubblico. Cosa?! Qui si apre una voragine, ci sarebbero da obiettare
un sacco di cose. Ma in questo format non è previsto contraddittorio, e
il clone ideologico nostrano di Tony Blair ha fretta di sciorinare altra
retorica a buon mercato. Vuole concentrarsi soprattutto sul significato
dell’essere di sinistra, o centro sinistra, o PD. La sinistra è dialogo,
ascolto, desiderio di capire, accoglimento delle idee altrui. Oh ma come
siamo buoni.
Non abbiamo paura della comunicazione, dice, la
comunicazione è il valore più importante, non è una parolaccia solo
perché l’ha fatta Berlusconi. Giorgio Gori, lo spin doctor di Renzi
dalla lunga carriera nel cuore mediatico di Silvio, approverebbe.
Uguaglianza e meritocrazia: tutti devono
partire dallo stesso punto, non arrivare allo stesso punto.
Merito, mobilità, sullo sfondo con ogni
evidenza c’è ancora sempre il mito della carriera, dell’affermazione
sociale ed economica. Ma se non ce la fai non temere, dice Renzi: non ti
lasciamo solo, siamo solidali. C’è dolore, c’è solitudine, ma noi «ci
facciamo prossimo, ci facciamo compagni di strada». Il conservatorismo
compassionevole va a risciacquare i panni in Arno. E vai con i giardini,
con i bambini, con Don Minzoni e l’associazionismo cattolico.
E poi attacca con la cultura e con l’arte,
perché lui a Firenze sta facendo grandi cose. E qui mi
viene veramente un moto di ribellione. Renzi sostiene
che la cultura in Italia è stata rovinata dagli «addetti ai
lavori», ed è tempo che la cultura in Italia torni nelle mani
della politica.
Cita le fondazioni lirico-sinfoniche, e la
propria azione meritoria di aprire al pubblico la torre civica di
Firenze, con relativo pistolotto storico-encomiastico del monumento,
mentre cita i ben dieci posti di lavoro creati.
Non dice però che gli Uffizi sono chiusi: non
solo la domenica, ma anche durante la settimana. Si pagano 20 euro di
biglietto ma non li si può vedere, perché la parte maggiore è chiusa per
lavori che finiranno non si sa quando.
Renzi non dice che per dieci posti di lavoro
non specializzato creati con l’apertura della torre, decine di
professionisti specializzati vengono licenziati dal Maggio Musicale
Fiorentino. È una politica del lavoro? È una politica culturale? Non
pare proprio, ma questo il sindaco di Firenze si guarda bene dal dirlo:
non spiega che invece di promuovere le eccellenze si punta a
smantellarle.
Non racconta che quando il Maggio era in
tournée in Giappone, sorpreso lì dal disastro nucleare di Fukushima
senza poter sapere come si sarebbe evoluta la situazione, da Firenze non
si voleva rimpatriare coro e orchestra per non pagare una penale ai
committenti. Padri e madri di famiglia son dovuti rientrare a proprie
spese disobbedendo alle disposizioni del Teatro, che mette prima il
denaro della stessa vita dei suoi dipendenti. Però i
soldi da spendere largamente in cene e viaggi a carico dei contribuenti,
quelli Renzi li ha trovati eccome. Oggi parla di dialogo, ma in quel
frangente si rifiutava persino di ricevere i rappresentanti degli
artisti del Teatro.
Renzi si guarda bene dal dire che è proprio
la politica politicante ad aver rovinato la cultura in Italia:
come sindaco non può non sapere come stanno le cose, perché il primo
cittadino del comune dove ha sede una Fondazione lirico-sinfonica è per
legge membro del consiglio di amministrazione, e in Italia nessuno
può diventare sovrintendente di un teatro o direttore artistico senza
avere in tasca una tessera di partito, o rendersi pedina docile di esso,
anche senza avere la minima competenza artistica.
Un esempio d’attualità? A Cagliari
i lavoratori del Teatro Lirico sono in rivolta contro il sindaco
vendoliano Massimo Zedda, che ha nominato con incredibili forzature
politiche una soprintendente dal curriculum debolissimo. Anche lì, un
disprezzo per gli addetti ai lavori.
Il cantante e scrittore Gianluca Floris si chiede:
«Perché si parla così male di chi fa di
mestiere l’artista? Per invidia, perché facciamo il lavoro più bello
del mondo, perché viviamo di musica e siamo capaci di dare brividi
ai tanti che ci vengono ad ascoltare. Perché siamo capaci di
studiare e il nostro potere è quello di capire, di interpretare.
Perché è uno dei pochi lavori che nobilita sia chi lo fa sia chi ne
fruisce. Per questo ci odiano: perché di mestiere regaliamo attimi
di felicità. E questo, gli invidiosi, i gretti, proprio non ce lo
perdoneranno mai.»
È facile prevedere quali siano i criteri che
guidano le scelte di personaggi come quelli, venduti ad altri interessi
ed altre logiche fin da prima della nomina. Gli "addetti ai lavori"
accusati da Renzi non sono mai entrati nella stanza dei bottoni,
ci sono entrati fino ad ora solo i politici o i soggetti controllati dai
politici, al punto che quando cambia l’amministrazione comunale cambia
anche quasi tutto lo staff dei teatri, luogo privilegiato insieme a
tanti altri di clientele vergognose. Questo ha portato alla rovina della
cultura nel nostro povero Paese, al punto che oggi, solo per fare
l’esempio più clamoroso, i principali teatri lirici sono in fallimento,
commissariati o sul punto di esserlo, ma nessuno ne parla. Perché?
Perché salterebbero agli occhi l’incompetenza, la corruzione, la
presunzione della politica che si crede padrona anche di ciò che non
capisce affatto. Un personaggio come Renzi, supposto rottamatore,
non rottama l’«Agenda Monti» tanto cara alle Cayman, figuriamoci
se rottama la politica fallimentare per la cultura.
Chi mai tra i lettori è al corrente, per
esempio, che nella stagione in corso alla Scala - dico: La Scala
di Milano, il teatro più famoso del mondo - la prima di
Don Giovanni è stata annullata per uno sciopero del personale artistico
e tecnico del teatro? Chi ne ha parlato? Gli spettatori della Scala sono
stati rimandati a casa, la recita è saltata. La seconda recita è andata
in scena con oltre un’ora di ritardo, e al posto dell’orchestra il solo
pianoforte, sempre per protesta. Ritardi ci sono stati in molte altre
recite. Qualcuno sa per che cosa protestano gli artisti del teatro più
famoso del mondo? No. Nemmeno una parola. Persino i critici musicali,
servi schifosi delle redazioni, si sono limitati a commentare che alla
terza o quarta recita l’orchestra "non ha dato il meglio di sé".
È un meccanismo marcio, e i sindaci e i partiti ci sono dentro fino al
collo, altro che gli "addetti ai lavori". Gli artisti e i
tecnici stanno dando il sangue e non lo sa nessuno.
Chi mai tra i lettori è al corrente che tra
pochi giorni il Teatro Regio di Parma chiuderà
licenziando tutti i dipendenti perché non ci sono più soldi? La patria
di Giuseppe Verdi senza più teatro, senza un’opera. Eppure il coro e
l’orchestra vengono invitati in tutto il mondo per concerti e
spettacoli, e l’Italia si fa bella del lavoro di questi
professionisti, che in casa nostra muoiono letteralmente di fame.
Questa è la situazione in Italia: uno scandalo
che grida vendetta, e Renzi esattamente come tutti gli altri suoi
‘colleghi’ non può davvero permettersi di mettersi in bocca la bellezza
e l’arte quando fa parte di coloro che l’hanno demolita.
Io non ci credo che lui lavorerà per
ricostruirla: se così fosse, avrebbe ragionato ed agito diversamente
anche come sindaco, per esempio prima di aprire la torre civica avrebbe
messo in sicurezza molti posti di lavoro al Maggio, e avrebbe puntato a
favorire le eccellenze che distinguono il nostro paese, invece di fare
demagogia spicciola, all’ombra «della finanza con cui si deve parlare».
E lui, modestamente, con la finanza ci parla benissimo.
La chiusa del comizio è stata degna di tutto il
resto: il richiamo ai problemi della scuola, con aneddoti alla Libro
Cuore e invettive contro gli insegnanti mangiapane a tradimento
(letterale), seguita da calorosi applausi. Un filmato del presidente
Obama che invoca i diritti dei bambini ricordando la piccola uccisa
durante un comizio.
Che disgusto, sindaco Renzi, questo ammasso di
retorica a poco prezzo, e che disgusto la presunzione, la menzogna, il
buonismo qualunquista con cui hai infarcito il tuo discorso. Non
ci credi nemmeno tu, si vede lontano un miglio.
Ma qualcuno
allarga il portafoglio per farti recitare questa parte, e come abbiamo
intuito in apertura ascoltando uno dei tuoi sponsor, i costi sono
l’ultimo dei tuoi problemi. Che cosa c’è di nuovo, in tutto questo?
Proprio niente, nel tuo discorso di oggi c’è solo il vecchio che
conosciamo già fin troppo bene. Raccogli pure i tuoi voti tra quegli
elettori che non hanno nessuno strumento per leggere l’operazione di cui
tu sei testimonial, ma non usare l'arte e la bellezza per sciacquarti
la bocca.
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