gile del crocifisso per assolvere l'ex magistrato marchigiano
Luigi Tosti? È ciò che si chiedono gli avvocati difensori
dell'imputato, gli avvocati Dario Visconti e Carla Corsetti,
dopo la sentenza della Corte d'appello dell'Aquila che lo ha
assolto con la formula "il fatto non sussiste". Tosti era stato
condannato in primo grado a oltre un anno perché si era
rifiutato in più occasioni di tenere processi in aule nelle
quali era esposto il crocifisso.
Secondo quanto emerge ora dalle motivazioni depositate, i giudici hanno
ritenuto che in riferimento agli episodi contestati non si
sarebbe verificata «interruzione nel regolare svolgimento delle
udienze» in quanto l'imputato ogni volta era stato sostituito su
disposizione del presidente del tribunale, avvertito
preventivamente dal giudice Tosti delle proprie intenzioni.
La Corte d'appello ha così ricalcato, come del resto aveva
chiesto anche il pubblico ministero, quella stessa motivazione
che aveva portato la Cassazione ad annullare ogni precedente
condanna per la stessa imputazione in altri processi sempre a
carico dell'ex magistrato. La ragione per cui ora Tosti e i suoi
difensori annunciano che ricorreranno in Cassazione e se
necessario anche davanti alla Corte europea dei diritti
dell'uomo, è quella di smontare una decisione che se nei fatti
assolve l'imputato, disconosce o ignora le ragioni del suo agire
e gli nega il riconoscimento di aver esercitato un suo diritto
insopprimibile.
L'obiettivo sarà quindi ottenere il riconoscimento per Tosti di
aver agito secondo diritto rifiutandosi di tenere udienza, non
potendo difendere in altro modo i suoi diritti inviolabili e
costituzionalmente garantiti di libertà se non attraverso la
necessaria violazione di quei regolamenti di epoca fascista che
impongono la presenza dei crocifissi nelle aule giudiziarie.
C'è da ricordare che i magistrati della corte dell'Aquila già
all'apertura del processo - ancora una volta in un'aula munita
di crocifisso - avevano avuto modo di affrontare direttamente la
questione del diritto di libertà di coscienza dell'imputato.
Alla richiesta dello stesso Tosti e dei suoi difensori di tenere
il processo in un'aula priva di simboli religiosi è arrivata,
dopo una camera di consiglio di circa un'ora, una soluzione a
dir poco sorprendente: anziché rimuovere semplicemente il
crocifisso presente, i giudici hanno deciso di trasferire il
processo in un'aula attigua destinata alle controversie di
lavoro che casualmente era sfornita del sacro simbolo.
L'inusuale trasloco viene ora spiegato nelle motivazioni in
questi termini :«L'imputato ed i suoi difensori avevano ed hanno
il diritto a presenziare e ad esercitare le proprie prerogative
difensive in un'aula di giustizia priva di espliciti simboli
religiosi, ma è anche vero che tale diritto, espressione e
manifestazione dei diritti primari, costituzionalmente
riconosciuti, di libertà di coscienza, di libertà di religione e
di eguaglianza, oltre che del principio di laicità dello stato
al quale è pacificamente ispirata la Costituzione repubblicana,
deve ritenersi essere stato sufficientemente ed adeguatamente
garantito attraverso la concreta ed effettiva celebrazione del
processo di appello in un'aula priva di crocifisso od altri
simboli religiosi».
Il trasferimento del processo in un luogo "neutro", o come lo
definisce l'avvocato Corsetti «un'aula ghetto per non credenti»,
è stato ritenuto l'unico modo per garantire l'effettività di un
diritto. «Pur volendo tutelare il diritto alla libertà di
coscienza - prosegue l'avvocato Corsetti - la Corte è incorsa
nella violazione del diritto alla non discriminazione essendo
inaccettabile che ci possa essere un'aula per i cattolici e
un'aula per i non cattolici».
Ma un diritto che cede il posto a un crocifisso, non è forse un
diritto fragile?
Giuseppe Ancona